giovedì 22 aprile 2010

Cosette Miserabili - Romanzo


Capitolo II° Parte I°

Ninna nanna di Brhams

Cantava la mamma col suo fantolino in braccio: era felice! ero la gioia del suo cuore, la sua Luce, “luce dei miei occhi, luce del mio cuore, luce della mia vita, luce dei miei giorni, luce della mia notte, …” ripeteva stringendomi al cuore.

Adattò come ninna nanna un canto natalizio di Brhams, e cullandomi fra le braccia cantava sottovoce:

Ninna nanna mio ben riposa seren

dormi dormi così fino al sorger del dì

Quando l’alba verrà sorgerai dal lettin

se il Signor lo vorrà sorgerai o bambin.

Ninna nanna mio bel riposa seren

un angiol del ciel ti vegli fedel.

Una santa vision faccia il sol irradiar

Una dolce canzon possa i sogni cullar.

Buona notte piccin riposa carin

Riposa tranquil bambina gentil …

Alcune pie vicine, beghine col fazzoletto in testa e la corona in mano, si scandalizzarono sentendo le nenie della mamma:

“Rosellina, non devi cantare così, è eresia, fai peccato. Questa è la canzone che la Madonna cantava a Gesù Bambino, nessuno può cantarla: è riservata a Gesù e Maria.”

Piuttosto impara questa: è la ninna nanna che da sempre hanno cantato le nostre donne:

“ninna nanna ninna oh

fai la ninna, fai la oh,

picciridda do me cor

ninna nanna ninna oh.

E se tu nun voji durmiri

cauci e pugni

‘sa quantu ‘n’aviri.

E ‘naviri cincucentu

figghia d’oru

e figghia d’argentu”

Mamma rispose: “la Madonna come me ha portato in grembo Suo Figlio, come me lo ha allattato, non è mai stata gelosa di lui e del Suo canto, quindi la Sua ninna nanna è anche la mia” e nel suo cuore aggiunse “via brutte streghe ipocrite e farisee che promettete ai vostri bimbi calci e pugni se non s’addormentano subito!” ; e continuò a ninnarmi canticchiando la nenia di Natale.

Il secondo Battesimo, quello canonico, (il primo l’avevo già avuto al momento della nascita visto che stavo per morire) fu rimandato perché i miei futuri padrini, dei nababbi amici del nonno materno, erano residenti in Libia e si aspettava che venissero al paesello per il grande evento.

Parte II° - Fra una danza e una tarantella

Il nonno, da tutti riverito e onorato era conosciuto come “Don Vicenzu” abbreviazione siciliana di “Don Vincenzo” datagli dai mezzadri in segno di rispetto, era rigoroso e freddo in famiglia e con i suoi subalterni. In compenso la sua cantina traboccava d’ogni ben di Dio: salumi, formaggi, olio, legumi, fichi secchi e uva passa, conserve varie ecc., ecc.. Nonno era ricchissimo e si sentiva un semi-Dio: tutti dovevano fare il suo volere!

Nonno faceva parte dei notabili che ogni paese che si rispetti ha: il Sindaco (per l’appunto il nonno), il Canonico, il Medico, il Farmacista; questi erano l’intellighentia.!

Don Vicenzu era l’Autorità incontrastata: ricco sfondato, Epulone del suo tempo, eletto sindaco in ogni legislatura, amava la poltrona e il potere, la pensava esattamente come il famoso eterno politico italiano che dice: “il potere logora chi non ce l’ha”

Il Canonico, un metro e cinquanta di Fede e di dubbi, sembrava un birillo nero rotondetto che camminava rotolando. Era buono: ligio al suo dovere , pronto a dir messa la mattina e alle benedizioni vespertine; non si faceva pregare a correre presso i moribondi e andava in sollucheri quando celebrava matrimoni e battesimi.

Non credeva ai mistici e alle visioni, se qualcuno gli confidava d’aver visto la Madonna si innervosiva e rispondeva così : “hai fatto indigestione?!” o se l’anima eletta era troppo macilenta gli diceva: “figlio mio, fai troppi digiuni, vedi di riempirti la pancia e questi malesseri (sottinteso,visioni) passeranno.

‘Mai che un predicatore
avesse il grugno
di dire."Io non ho
per voi certezze,
ma di fragili speranze
solo un pugno". Gilberto Fanfani’

Abitava con sua sorella che adorava e con la quale condivideva il letto e le grazie. La poverina viveva come una monaca di clausura, non le fu mai permesso di fidanzarsi o di guardare un uomo: era sua e lui le bastava! Non usciva mai ad eccezione della domenica quando il buon Canonico le permetteva di partecipare alla Messa dell’alba, da lui celebrata, e seguita solo da quattro frettolosi gatti che non vedevano l’ora che finisse per correre nei campi. Durante la consacrazione, nell’ostensione della Sacra Ostia, il suo sguardo innamorato con un lungo raggio raggiungeva sua sorella, Donna Filomena, adorandola!

La messa mattutina era l’ideale per soddisfare il precetto, e la carne della sua carne era preservata da sguardi impuri e desideri licenziosi.

Il medico Costante, come già abbiamo visto era sempre irreperibile: amava la caccia e il buon vino rosso, e la sera al ‘Circolo Culturale’ non mancava per infinite giocate a carte e alzate di bicchiere.

Il farmacista Raffaele aveva l’aria dell’asceta, alto e magro, silenzioso, conosceva una sola parola ’benedicite’ che dispensava generosamente alla plebe ossequiante. Stava quasi sempre sul retro della farmacia con le sue ampolle e alambicchi a preparare miracolosi rimedi.

Questi i quattro Cavalieri del glorioso Kars da tutti riveriti ed ossequiati.

In secondo piano nel rispetto popolare venivano: il Maresciallo, il Bancario, l’Esattore, l’Assicuratore.

Per ultimi venivano gli Insegnanti.

Mia madre fu la delusione della vita di suo padre: aveva investito su di lei facendola studiare nel Collegio più prestigioso di Catania, riservato a ricche signorine figlie di buona famiglia, dove oltre la letteratura e le scienze matematiche, filosofiche e fisiche si studiava anche musica, canto, danza e buone maniere; il galateo era libro di testo!

Rientrava a casa a Natale, Pasqua e nel periodo estivo per trascorrere le vacanze in famiglia.

Nonno Vincenzo aveva promesso in sposa la sua Rosellina piccolina d’altezza, ma bella ed intelligentissima, ad un ricco farmacista di un paese vicino, più grande di lei di circa vent’anni, ma con un carattere dolce e buono e proprietario di terre, ville e appartamenti sparsi un po’ dappertutto nell’isola e su in continente.

Aveva circa tredici anni quando mamma conobbe il fidanzato scelto per lei dal padre. Cominciò a scrivergli biglietti e letterine che, come sperava il nonno dovevano essere d’amore, erano invece educate e amichevoli.

Finì con l’affezionarsi al promesso sposo, ma senza passione; passava le estati e le feste ospite dei genitori di lui nella villa di villeggiatura immersa nel verde.

Fino a diciotto anni, quando completò i suoi studi e la sua educazione nell’esclusivo collegio per ricche signorine, la sua vita trascorse serena: era una fanciulla fine, senza grilli per la testa, un gioiellino di cui essere fieri.

E il nonno lo era: l’amava totalmente, le aveva fatto da padre e da madre, visto che sua madre, cioè mia nonna, seconda moglie del nonno, era morta dandola alla luce.

Nonno non si risposò più ed ebbe per lei tutte le cure e attenzioni paterne e materne; pensò anche al corredo fatto arrivare appositamente dalla Francia e da Firenze.

Per le trine e i merletti scelse i più costosi e pregiati: il merletto d’Alençon (Francia), il Cantù e il tombolo da Venezia.

Sapienti ricamatrici creavano poi capolavori applicando le trine alla seta, al lino finissimo, al bisso.

Senza considerare le meravigliose tovaglie e i coprilètto damascati rifiniti in frivolitè o macramè.

Don Vincenzo realmente pensò a tutto, il corredo di Rosellina era l’invidia e l’ammirazione di tutte le fanciulle da marito e delle loro madri.

Quando compì diciotto anni, nonno con l’aiuto delle signore mogli dei contabili del paese, organizzò per la figlia una magnifica festa per il suo ingresso ufficiale nella società.

Naturalmente era invitato il giovane (si fa per dire, visto che aveva trentotto anni) farmacista fidanzato di Rosellina.

E …, il diavolo ci mise la coda. Quella sera fra una danza e una tarantella mamma conobbe mio padre, e fu amore a prima vista!

Prima si incontrarono i loro sguardi, poi i loro cuori palpitarono all’unisono, in fine furtivamente si unirono le labbra.

Il farmacista Melilli li guardava da lontano tormentandosi l’anima.

I due ragazzi si appartarono per presentarsi e conoscersi meglio. Mio padre era bello come un dio greco: alto (un metro e ottantadue), biondo dorato, occhi verde-azzurri, cangianti secondo il tempo e l’umore; quando si adirava le sue iridi diventavano plumbei e mandavano bagliori come un cielo in tempesta.

Mamma era una miniatura: piccola di statura (un metro e cinquantacinque circa), ma ben formata e con un ovale da madonna, sembrava una statuina di porcellana, i suoi occhi erano ambrati e i capelli castano chiari lunghi e inanellati.

Una bella coppia, niente da dire.

Flavio raccontò alla piccola Rosellina le sue avventure; già da qualche anno si trovava a Kars, giovanissimo quasi alla fine della guerra era stato chiamato alle armi, ma subito fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in un campo di concentramento.

Vi restò per sei mesi circa patendo fame e freddo, nel frattempo con altri due italiani organizzarono la fuga che poi fortunosamente riuscì: erano terrorizzati e ad ogni minimo rumore si nascondevano nelle cunette o fra i cespugli.

Uno di loro morì per strada di fame, freddo e forse polmonite, perché scottava e aveva problemi di respirazione. Lo seppellirono alla buona e continuarono il loro cammino.

Arrivarono in Italia dopo un paio di mesi di peripezie, il suo compagno cercò subito le autorità militari, ma trovò il caos. Papà preferì tornare in Sicilia, ma nel timore d’essere accusato di diserzione, non andò da sua madre, ma venne a Kars cercando rifugio e protezione.

Era magrissimo, sporco e malconcio; nonno lo accolse come un figlio,lo fece curare e poi gli offri di lavorare per lui assieme ad altri mezzadri nelle sue tenute.

Egli accettò riconoscente e, visto che aveva studiato divenne presto ‘Amministratore’ e uomo di fiducia del nonno.

Ormai la guerra era finita da oltre tre anni in tutta Italia, ma Flavio trovandosi bene, era rimasto.

“Avevo sentito parlare di te, ma non ti avevo mai vista. Dicono che sei quasi sempre a Catania per i tuoi studi”

‘Sì, è vero, ma ora li ho completati e sono tornata per sempre’

“dicono che sei fidanzata”

‘si, è quell’uomo li in fondo; l’ha scelto papà: è farmacista.’

“lo ami?”

‘Non so … gli voglio bene. E’ molto carino con me e i suoi genitori mi adorano.’

Mamma si innamorò perdutamente di mio padre, perse letteralmente la testa per lui. Mio padre bello ed aitante era corteggiato e conteso da tutte le fanciulle, ma lui si sentì scelto e prediletto da Rosellina visto che era la figlia del suo capo, nonché sindaco del paese.

Cominciarono a frequentarsi di nascosto di tutti; Rosellina prendeva la sua bicicletta e quando sapeva che non c’era suo padre andava da Flavio.

Così per un paio d’anni. Finché suo padre decise che era ora che sua figlia andasse sposa, era sui vent’anni e gli sembrò un’età ragionevole, anche perché non voleva far invecchiare troppo il farmacista Saro Melilli.

Iniziarono i preparativi, Rosellina si disperò. Flavio senza nessun preavviso fece armi e bagagli e partì. Doppio dolore per la fanciulla. Suo padre come tutti i genitori, malgrado qualcuno chiacchierasse in paese, non s’era accorto dell’amore impossibile di sua figlia per Flavio.

Quando questi scomparve si adirò molto sentendosi tradito nella fiducia.

Rosellina sembrò impazzita: tutti i giorni correva alla fermata dell’auto sperando di vederlo comparire, guardava speranzosa tutte le macchine dei forestieri di passaggio da Kars, col desio di veder scendere Flavio, chiedeva al postino se ci fossero lettere per lei, supplicandolo eventualmente di dargliele lontano da occhi indiscreti, specialmente da quelli di suo padre … ma fu tutto inutile: Flavio sembrava scomparso nel nulla.

Mamma perse il sonno e la fame, finché dopo tre mesi d’agonia, visto che il tempo del suo matrimonio s’avvicinava e non avendo il coraggio d’affrontare suo padre e Saro il farmacista, un pomeriggio fece un colpo di testa: prese la corriera e andò a Siracusa a cercare il suo amato.

Lo trovò, la famiglia di Flavio era molto conosciuta e le indicarono subito la sua casa patrizia.

Parte III° Festa di mezza estate

Considerando il periodo in cui avvennero i fatti (inizio anni ’50) in cui l’Italia si stava riprendendo lentamente dalla guerra, ma era ancora con una mentalità bigotta e puritana pronta al giudizio e alla condanna; Rosellina dimostrò fegato e coraggio da vendere, sfidando le ire del padre e le malelingue del paese.

Flavio quando se la vide dinanzi; prima impallidì, poi arrossì di rabbia.

“E tu che ci fai qui?!”

La fanciulla si sentì ferita a morte, lo guardava interrogativamente … finché lui nel vedersela davanti così giovane, bella, innamorata e disperata si sgelò e se la strinse al cuore.

Dopo aver amoreggiato con lei senza però conoscerla biblicamente, Flavio portò Rosellina nel più bell’albergo della città, e l’indomani mattina la riaccompagnò a Kars.

Nonno era in condizioni pietose, era stato ad un pelo di un colpo apoplettico ed aveva già denunziato la scomparsa della figlia.

Nel vedersela davanti quasi si strozzò, mia madre buttandogli le braccia al collo gli disse:

“Papà lo amo, lui è mio marito.”

“Non l’ho sfiorata nemmeno con un dito, ma la amo anch’io.” Replicò lui.

Nonno Vincenzo era distrutto; informò il farmacista Saro Melilli che il fidanzamento con sua figlia era andato a monte e pretese subito dai ragazzi il matrimonio riparatore.

Così Rosellina e Flavio, dopo meno di un mese dalla ‘fuitina’ di lei, si sposarono alle 6 di mattina, senza fiori, senza canti, senza invitati, senza luci.

Questa era la punizione che la mentalità meschina dell’epoca riservava ai figli ribelli.

Ma mia madre era felice: quando entrarono in chiesa, così giovani e innamorati, le ombre si dileguarono e la loro bellezza illuminò le tetre navate della Madrice.

Nonno era troppo adirato e non organizzò nessuna banchetto di nozze per la figlia, ma la amava e le diede l’appartamento arredato e il suo prezioso corredo, quindi per smaltire la sua rabbia, armatosi d’amo ed esche andò a pescare trote e tenche al fiume Anapo che attraversava le sue tenute.

Ma non aveva fatto i conti con i notabili del paese: le loro mogli e i mezzadri con le loro donne che adoravano la piccola Rosellina e a sua insaputa organizzarono una magnifica festa banchetto in campagna nell’aia vicino la fattoria e le case coloniche.

Con una scusa nel pomeriggio prelevarono i due sposi e li portarono nella tenuta del nonno, e… oh meraviglia! Enormi tavolate con ogni ben di Dio, vini pregiati: Nero d’Avola, Duca di Salaparuta, Cerasuolo di Vittoria, Malvasia, Passito di Pantelleria, Lacrima Cristi, Marsala …, poi ancora Nocini, Karkadè, Elisir, Ratafià, Rosoli … dolci e dolcetti d’ogni tipo e piatti salati a volontà.

Le fanciulle e i giovanotti erano vestiti con i costumi tipici siciliani e all’arrivo degli sposi si aprirono le danze.

Si ballava di tutto, ma in prevalenza tarantella e mazurca .

Il vento portò al nonno profumi, riso e canti. Come un segugio seguì a fiuto gli odori e i suoni e si ritrovò nella sua aia vestita a festa, nel bel mezzo di una tarantella.

Si inibì: non sapeva più se ridere, piangere o dare in escandescenze … mentre ancora rifletteva un ragazzetto gli si avvicinò offrendogli un tamburello.

Sorrise e si unì alle danze.

Era una magica sera di Luglio e Rosellina ebbe il suo “Sogno di una notte de mezza estate”


Nota: I ricordi del matrimonio di mia madre hanno il supporto dei racconti che mi fecero Tessy e uno zio paterno.

La ninna nanna è un ricordo mio personale, mamma me la cantò fino la sera prima di morire.

1 commento:

  1. Hai descritto in maniera impeccabile un mondo.
    Uno spicchio della civiltà contadina, che pur trattando del vertice, della parte più evoluta, mostra la violenza, il poco rispetto, la percezione del valore degli uomini in base al censo.
    Intreccio perverso tra la “roba”, le professioni, i mestieri e la miseria.
    Si era più o meno uomini in base a questi criteri.
    Certo parlarne oggi sembra affascinante, ma subire l’autorità senza alcun vincolo del padre padrone, del padrone, della sua concezione del bene e del male, della sua percezione tout court era, è stato un supplizio.
    Tortura.
    Tormento.
    I bambini e le donne all’ultimo posto della scala gerarchica erano le vittime per antonomasia.
    Femminilità negate.
    Ingenuità, fragilità, età oltraggiate.
    La violenza degli affetti, la caratteristica.
    Certo non era solo questo, c’era dell’altro e anche del buono.
    Ho voluto accentuare lo sguardo solo su questo e notare l’eleganza con la quale hai trattato argomenti tanto complessi e violenti.
    La sorella perpetua, nella descrizione superi ogni immaginabile eleganza di stile e contenuto.
    Sono ammaliato dalla tua bravura, Maria.
    La tua cultura, che si priva dello sfoggio dell’erudizione, è cosa notevole.
    Mi hai onorato con l’inchino, io, come cavaliere antico, piego il ginocchio e bacio la tua mano.
    Grazie, Maria, ogni bene a te.
    Michele Cologna

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