martedì 28 maggio 2013

Il silenzio della pietra

C'è silenzio e silenzio...
Il silenzio urlato che fa male a chi l'ascolta; il silenzio sfilacciato in mille fili di di taciti segreti; il silenzio dell'anima: silenzio contemplativo, riflessivo, meditativo, interrogativo... e il terribile silenzio di Dio quando l'interroghi e senti il nulla, il vuoto; quando il tuo cuore è avvolto nella caligine, quando sai che c'è il sole e gli occhi sono ciechi di paura, quando non trovi pensieri e parole, quando il silenzio è l'unica cosa che ti riesce bene, quando hai paura della parola e ti rifugi nel bozzolo del tuo silenzio.
C'è anche il silenzio della luna: benevolo, che ti parla tacitamente allo spirito, che ti ispira poesia e canti d'amore..., c'è il silenzio cercato, amato, vissuto consapevolmente perché nessuna mano, o nessun pensiero o carezza e parola possono confortarti come il compassionevole angelo del silenzio.
Ma il silenzio della pietra è il più muto dei silenzi.
- Maria Savasta

- Dipinto di Caspar David Friedrich

sabato 25 maggio 2013

Oracolo Attende

Com'è dolorante
questa primavera violata
nei suoi prati,
senz'ali, trilli e petali
scippati
piange la sua anima!

E' mia la sua afflizione
per questo struggente fiore
inquieto, sofferente, sferzato da tempeste,
smarrito i miei occhi
guarda...
Oracolo attende
- Maria Savasta

venerdì 10 maggio 2013

Cosette Miserabili


Cap. VI
Mi si apre l’intelletto

L’indomani della visita del dottore dopo il rito delle abluzioni mattutine e l’infinita meditazione terroristica sull’inutilità della vita e sulla morte forse imminente, all’uscita dalla Cappella una monaca in malo modo mi prese per un braccio: “ehi, tu vieni con me” e mi trascinò in cucina.
Le altre piccole infelici, ma felici nella loro incoscienza, capirono subito che era arrivato il mio turno per il purgante che periodicamente davano alle orfane.
“l’olio di ricino, l’olio di ricino, olio di ricino …, “
e tutte in coro a strillare, saltare e ridere. Io come una sciocca non capivo niente, avevo paura, ma non volevo farlo vedere.
“vado a prendere una molletta”
“no, le stringo io il naso”
“ci vuole la molletta, la molletta”
“stringetele il naso, il naso “
e come calabroni impazziti mi gironzolavano attorno, danzando con le mani al cielo, stringendo fra le dita mollette di legno per il bucato, di tutte le dimensioni.
Decisi di restare fredda e ferma, piccola Pietra dura nell’attesa degli eventi. Pur essendo una miniatura di donna, capivo che era perfettamente inutile ribellarsi: io ero mezza spanna e loro gigantesse alte, forti e gelide come iceberg.
Una monaca dal viso intagliato nel ghiaccio e gli occhi gelidi mi porse un bicchiere colmo di qualcosa di viscido.
“Prendi e bevi, se non lo fai da sola sarò costretta a metterti una molletta sul naso così dovrai per forza aprire la bocca per respirare, e allora te lo faccio ingoiare a forza.
Se ti ribelli ti teniamo in due ferma e oltre la molletta useremo l’imbuto.”
Non avevo capito un accidenti del lungo discorso, tranne le parole “prendi e bevi”
Le altre ricoverate invece avevano capito benissimo e fremevano dal desiderio di vedere lo spettacolo di una bimba che urlava scalciando e  delle monache che la tenevano ferma con la molletta sul naso per impedirle di respirare.
Non volli dar sazio ne’ alle monache ne’ alle gazze impazzite e urlanti che non aspettavano altro che di divertirsi alle mie spalle, presi il bicchiere e come una piccola Socrate bevvi la mia cicuta cioè l’olio di ricino senza fiatare.
Mi venne da vomitare e vidi la delusione negli occhi di tutte. Ad una ad una sciamarono, restai io sola con dei terribili crampi allo stomaco; corsi in bagno e non mi potei più alzare.
Non so’, suppongo  abbiano sbagliato dose per eccesso, fatto sta che ebbi delle scariche fortissime di diarrea che pareva non volesse finire mai.
Restai seduta sul water torcendomi dal dolore e sudando fredda.
Non so per quante ore restai lì, credo d’essere svenuta, finché senti una voce amica: era il Dottor Costante chiamato d’urgenza dalle monache impaurite dal mio stato: forse pensarono che stessi per morire.
Il dottore che fortunatamente quel giorno non era a caccia, mi consolò e mi diede un farmaco miracoloso che mi fece sentire subito meglio; poi proibì categoricamente alle monache di dare alle bimbe e specificatamente a me, l’olio di ricino come purgante o lassativo.
Lasciò inoltre una busta con diversi farmaci ricostituenti a base di ferro, vitamine e altro.
Per i miei problemi di stitichezza mi prescrisse un cucchiaino d’olio di mandorle dolci da prendere la sere prima d’andare a letto.
In quel periodo la Mutua passava quasi tutti i farmaci, ma non a me perché mio padre aveva cambiato paese e residenza e mi avevano cancellata dal suo stato di famiglia.
Io risultavo solo residente a Kars, ma non ero a carico di nessuno.
Iniziai la cura ricostituente: sciroppi dolci e amari, buonissime pillole multi colorate di vitamine, piccole boccette alle quali premendo il tappo scendeva una polverina  e che poi dopo averle agitate si bevevano, erano buone: sapevano di fragole.
Dopo qualche giorno cominciai a star meglio, ma ancora cadevo ogni due tre passi, ero magrissima e non avevo la forza ne’ fisica ne’ psicologica di reggermi in piedi.
Nel giorno del trigesimo della morte di mamma venne a trovarmi la sua amica del cuore, Tessy.
Quando mi vide quasi non mi riconobbe, si mise a piangere e prendendomi in braccio recitò sotto voce questa poesia.
“Esso nacque, sua madre morì.
La morte per il suo cammino
com'è distratta a volte
dimenticò di prendere il bambino.
Un anno dopo il padre
riprese moglie, e il bimbo
aveva torto d'esserci…” da “Pierino” (Il nonno e il nipotino) di G.Pascoli
Ascoltai attentamente e le dissi “ancora”, e poi di nuovo “ancora”, non so quante volte Tessy mi ripeté piangendo la poesia di Pascoli; poi pretesi che me la spiegasse e man mano che lei parlava una grande luce illuminava la mia mente.
Mi si aprì l’intelletto quasi istantaneamente, come se avessi ricevuta una gran botta in testa e ricordi e visioni emersero con prepotenza.
Come in un film rividi e rivissi il giorno della morte di mamma, ora mi era tutto chiaro: mamma non sarebbe tornata mai più, non si sarebbe svegliata, non poteva, era inutile aspettarla …!
Scoppiai in un pianto disperato, infinito, inconsolabile .
Contemporaneamente capii la differenza tra la vita e la morte, io ero ancora viva, mi pizzicavo ed ero certa d’essere VIVA, ed ero contenta di non essere morta con la mamma, poi inorridivo del mio pensiero, e volevo essere anch’io morta, e mi tormentavo perché realmente non volevo morire, e mi sentivo cattiva, cattivissima … una bimba senza cuore che non vuole stare accanto a sua madre!
E singhiozzavo forte, un singhiozzo lungo, lamentoso.
Tessy piangeva con me, alla fine disse:
“andiamo a trovare la mamma”
Con il consenso della Superiora Tessy mi prese in braccio, visto che non avevo la forza fisica di camminare, e uscimmo.
Guardai il paese e le strade con gli occhi appannati dalle lacrime, ancora avevo dei singulti di pianto. Mi parve tutto diverso: piccolo, polveroso, con vecchi annoiati e soli, con lo sguardo vuoto e sperduto intenti a guardare ricordi lontani … stavano seduti davanti la porta; capii che attendevano la morte.
Non incontrammo bambini: erano tutti a scuola.
Il paese sonnecchiava.
Tutti quelli che incontrammo si fermarono per una carezza e per spettegolare con la buona Tessy.
Passammo dal Corso Matteotti, il Gran Bazar era sempre lì, ma non mi diceva nulla; non mi parve più così grande, ma piccolo e stupido.
Tessy si fermò a comprare delle leccornie, li accettai dietro sue insistenze, ma non ne toccai una, tenevo il sacchetto fermo in una mano assolutamente indifferente al suo contenuto.
Facemmo un’altra sosta dal fioraio, Tessy comprò un meraviglioso mazzo di rose bianche e rosa; “queste li portiamo alla tua mamma”
Non capivo: mamma era morta o no?! Se le regaliamo le rose, allora è viva …!
Un lumicino di speranza si aprì nella mia anima.
Arrivammo al Cimitero, non ero mai entrata in un posto simile.
Sgranai gli occhi guardando attentamente ogni cosa: Cappelle, viali curati con tanti fiori, angeli dolenti, puttini, madri lacrimose …
Credevo che mamma si fosse trasferita in una di quelle cappelle che somigliavano tanto a delle piccole casette; quale non fu la mia delusione nel vedere che Tessy imboccò un viale dove non c’erano Cappelle o statue, ma semplici tumuli di terra con una croce e il nome sopra.
Mamma, la fanciulla più bella e ricca del paese, era stata seppellita nei loculi riservato ai poveri …!
“Perché … perché … perché …?” Chiedevo piangendo.
“Tuo padre se n’è andato subito dopo il funerale, forse non avevate una tomba e in quella di famiglia, cioè di tuo nonno, non si è potuta seppellire perché tua zia Marella e zio Maso non hanno dato il permesso. Il Comune l’ha fatta mettere qui, nei loculi riservato agli indigenti.”
Non avevo capito bene tutto il discorso, ad eccezione che mamma era lì.
Scoppiai di nuovo in un pianto inconsolabile.
Guardavo la terra e tremavo. S’era d’ottobre e già faceva freddo. Mi angosciai pensando che mamma sarebbe di nuovo morta, di freddo, lì sotto; dovevo assolutamente portare una coperta per lei, non potevo lasciarla così … e continuavo a lacrimare.
Coprimmo il piccolo loculo di mamma di rose e verde, ora sembrava più bello.
Al ritorno passammo di nuovo davanti a tutte le belle cappelle, mi colpì particolarmente una, ricca di colonnine e ghirigori, era maestosa! Feci cenno a Tessy perché anche lei la guardasse:
“la mamma non deve stare sotto terra, la voglio mettere lì “
“Piccolina, quella è la tomba dei Principi Lanza, ci vogliono un sacco di soldi per farne una simile”
Era il giorno delle lacrime, scoppiai di nuovo in pianto:
“ma non può restare lì, non può, fa freddo e quando piove si bagna. La dobbiamo togliere da lì.”
Dalla morte della mamma, dopo il mio pianto inconsolabile mentre era ancora a casa nella bara,  non avevo versato una lacrima, non volevo dar sazio alle bimbe dell’orfanotrofio e alle monache, ma quel giorno ne versai così tante da prosciugarmi.
La dolce amica di mamma cercava di consolarmi come meglio poteva con baci e carezze, eravamo entrambe in un mare di lacrime, mi posò per terra per cercare dei fazzoletti; in un attimo raccolsi tutte le mie forze e scappai svelta come una leprotta.
Tornai da mamma abbracciando le rose, le spine e la terra.
Dopo qualche attimo Tessy si accorse della mia assenza, la poverina si disperò cercandomi dappertutto, finché non si decise a tornare da mamma e lì mi trovò: piccola figlia dell’aria, dei fiori del cielo, sola col suo dolore.
Più in là seduto su una lapide il vecchio custode gobbo, piangeva.
Fece cenno alla ragazza di lasciarmi sfogare.
Non so quanto tempo restai lì, finché non mi sentii spossata senza più la forza di versare una lacrima.
Tessy mi prese dolcemente in braccio ed io promisi a mamma:
“Ti comprerò una bella tomba, lavorerò e i primi soldi guadagnati saranno per te.”
“Piccolina, ne hai da mangiare pane prima di realizzare il tuo sogno!”
“Perché, perché …?”
“Prima devi crescere, studiare, lavorare … campa cavallo, che l’erba cresce!” e fra se aggiunse: “Se la trovi ancora qui.”
Chissà perché generalmente gli adulti dicono forte i loro pensieri davanti ai bambini, convinti che questi non capiscono nulla. Di certo questi adulti hanno dimenticata la loro infanzia.
Io non ho dimenticata la mia e posso garantire che i piccoli capiscono molto più di quel che si crede.
Avevo capito benissimo che dovevo crescere e studiare per poter lavorare. Invece non mi era chiaro il senso di “se la trovi ancora qui”
Tormentai Tessy per farmi spiegare cosa volesse dire.
“Per ora non puoi capirlo, un giorno te lo dirò”
Decisi di non insistere, avrei da sola fatto le mie indagini. Mamma, il dottor Costante e Tessy mi avevano sempre trattata da ‘persona’ piccola sì, ma capace di intendere e avevano sempre risposto alle mie domande con verità; invece per mio padre, zia Marella ed altri grandi sapienti, come tutti i bambini ero solo una mocciosetta fastidiosa.
Alla prima occasione avrei chiesto al Dottore.
Di ritorno all’Orfanotrofio, l’amica di mamma disse:
“passiamo a salutare i tuoi zii”
Zio Maso aveva ereditato dal nonno la passione per la caccia e la pesca, infatti non lo trovammo.
Zia Marella era davanti la sua porta che spettegolava con una vicina, le corsi incontro; lei quando mi vide si precipitò in casa e mi chiuse la porta in faccia.
Non capivo ancora certe sfaccettature dell’animo umano adulto. Nella mia semplicità credevo non m’avesse vista e cercai di bussare.
Tessy mi tirò dolcemente indietro dicendo: “lasciamo perdere.”
Da allora ogni volta che zia Marella mi vedeva, fin quando restò a Kars, o si girava dall’altra parte o cambiava strada, o  chiudeva di scatto la porta .non appena mi avvicinavo,
Poi conobbe un funzionario australiano, venuto dal suo Paese per scopi culturali, si innamorarono, sposarono e zia partì per l’Australia.
Prima di partire il Dottor Costante chiese alla Superiora: “mi dia la bimba, mi sembra giusto che saluti la zia prima della sua partenza, sono certo che non la rivedrà più”
Uscii col caro medico, ma non rividi la zia nemmeno quella volta. Quando bussammo, aprì nel riconoscere il dottore dall’occhialino, ma non appena mi vide si ritrasse e ci chiuse la porta in faccia.
E questo episodio che mi ferì molto, lo ricordo benissimo.
Non ho mai capito perché zia Marella ce l’avesse tanto con me: che torto le avevo fatto?!
Ero troppo piccola per poter offendere a morte qualcuno …!
Questi ricordi ancor oggi mi amareggiano.
Il Dottor Costante vide la delusione nei miei occhi; mi portò a casa sua e Donna Eleonora mi offrì cioccolata calda, zuccherini, biscotti e una vecchia bomboniera che a me parve bellissima.
Il ritorno all’orfanotrofio, che avrei voluto non arrivasse mai, lo feci sulle braccia della moglie del medico, questi camminava accanto a noi e ogni tanto mi accarezzava i capelli.
Mi presi di coraggio e gli dissi: “Tessy dice che non trovo più mamma lì”
“lì, dove?”
“Lì, sotto la terra, io voglio studiare e lavorare, devo comprare una bella tomba alla mamma, ma Tessy dice: ‘se la trovi’ … perché?”
Il dottore da persona onesta e giusta, mi rispose con verità; con parole semplici sì, ma con verità.
“Vuol dire che se per dieci anni nessuno toglie i loro morti dalla terra, il Comune li mette nell’ossario”
“che cos’è?”
“ è una fossa comune, un posto dove mettono tutti i poveri morti che non hanno una tomba”
“tutti assieme?”
“si tutti assieme”
“io comprerò la tomba alla mamma. Giuro.”
Mi guardò con pena, sua moglie aveva gli occhi rossi.
“Se entro dieci anni non riesci a raccogliere i soldi, andiamo al Municipio e chiederemo una proroga. Te lo prometto. Si può fare.”
Riuscii ad onorare la promessa – giuramento fatto a mamma dopo dodici anni circa, naturalmente chiedendo una proroga al Comune.
Non spendevo un soldino per me e tutti quelli che recuperavo da qualche parente o benefattore, lo conservavo custodendolo gelosamente; li contavo ma erano sempre troppo pochi.
La Superiora rideva sarcastica: “che vuoi farne? Non bastano nemmeno per le caramelle!”
A suo tempo racconterò come riuscii da sola a comprare una tomba decorosa a mamma