martedì 25 maggio 2010

Il tuo canto spezzò il chiavistello

Quale gioia
quando i tuoi piedi
si fermarono alla mia porta,
e il tuo canto
spezzò il chiavistello
del mio amore:
“Come sei bella,
stella d’oriente
caduta
sul mio palmo.
Amica del mio tempo,
lava nelle vene
sussulto.
Mi hai stregato il cuore
mia bella;
al cielo hai rubato
gli occhi,
e messi di giugno
ondeggianti al vento
i tuoi capelli.
Nel castello della luna
violerò i tuoi sogni
per dipingerli
di prato e porpora,
e un'ala d'ardore mio
attaccherò al tuo
e nel fuoco voleremo
in eterne fiamme,
consumati”

giovedì 6 maggio 2010

Com’eri bello, leone guerriero!


Memento, In oscura gola
perduti
fra profumi d’umide rocce
e fiori di vento,
in imo d’Alcantara;
e mi hai unto, col tuo bacio
regina.
Com’eri bello, leone guerriero,
com’eri bello
negli antri deserti del fiume
in quell’ora di maggio!
Dolce albero fra amari limoni,
roccia in onde di rena ,
ferma torre su sbricia terra.
Nera seta di Cina i tuoi capelli,
spruzzi di luminoso stupore
sui tuoi cigli:
sospiro di fanciulle!
Forte il tuo braccio,
e il tuo verbo dolce al palato.
Ebbra bevo odorosi ricordi
di mosto e felci,
oceano e muschi.
Com’eri bello, leone guerriero,
com’eri bello!

mercoledì 5 maggio 2010

Cosette Miserabili

Morte di Rosellina

Ero ancora una bimba felice che viaggiava fra le nubi!

Io e mamma quando papà era di servizio in una stazione vicina, prendevamo un piccolo trenino sbuffante. Mamma contraria al panino imbottito, preparava un pasto caldo per papà e glielo portavamo. Il tragitto in treno era circa di tre quarti d’ora, e si attraversavano un paio di gallerie: sbarravo gli occhi in cerca della luce, e mamma mi stringeva a se dicendomi di non aver mai paura: “io sono sempre con te”, mi ripeteva.

Poi tutte e tre in un angolo appartato, nell’ora libera di mio padre pranzavamo.

I ricordi dei nostri pranzi, mi fanno ancora soffrire: di certo ero una bimba egoista e golosa; svelta di mano vuotavo il mio piattino e con lo sguardo furbetto toglievo il cucchiaio o la forchetta a mia madre e in un batter d’occhio spazzolavo tutto ciò che c’era nel suo piatto.

Lei mi guardava ridendo e mi lasciava fare: non mi accorgevo che aveva mangiato pochissimo.

Papà era distratto.

Di ritorno a casa attraversavamo il Corso Matteotti, la via più importante del paese; lì proprio a metà strada c’era un negozio grandissimo e luminoso, col pomposo nome “Gran Bazar” e lo era veramente! C’era di tutto, i bambini come i muli si fermavano e non c’era verso di farli andare avanti.

Le donne sfogliavano belle stoffe colorate, o compravano trucchi e belletti, gli uomini trovavano i sigari dell’avana, cartucce da caccia, carte da gioco, liquori pregiati ecc., non mancavano oggetti dei desideri adatti a tutti: ninnoli, suppellettili, ombrelli, occhiali, lampade, ventagli, spezie varie, utensili da cucina e per il “fai da te” … e per i piccoli era l’Eden: caramelle e leccornie d’ogni tipo, giocattoli meravigliosi: bambole dallo sguardo stupefatto, casette per le pupe, vestitini in miniatura, cavallini a dondolo, pistole e fucili, cinturoni da caw boy, maschere di Zorro ecc..

Ma quello che colpiva la mia fantasia e desideravo con tutta l’anima era la trottola; ce n’erano di tutti i gusti: di legno piccole e grandi, colorate, con la luce, e altre grandi che quando giravano oltre ad illuminarsi suonavano una bella musichetta.

Misi in croce mamma perché mi comprasse la trottola, ogni volta che passavamo dal Gran Bazar, anch’io mi impuntavo e non volevo andare avanti, volevo la trottola di legno quella con il chiodo sotto, non m’importavano tutte le altre trottole eleganti e costose: volevo quella!

Spesso in piazza o sul marciapiedi vedevo i maschietti giocare con la trottola di legno, vi avvolgevano lo spago e la lanciavano, alcuni la prendevano fra le dita e continuava a girare, la posavano in terra e quella ancora girava: una meraviglia!

Facevano fra di loro delle vere e proprie gare ed io li ammiravo moltissimo.

Ricordo che un giorno, avevo giusto due anni e mezzo, eravamo a metà giugno, per la precisione il 13, mamma mi lasciò da Tessy e al ritorno mi fece una bellissima sorpresa: a tavola accanto al mio piatto c’era un pacchetto tutto colorato.

Mi brillarono gli occhi.

E’ tuo, per il tuo mezzo compleanno “ mi disse mamma abbracciandomi. Infatti quel giorno finivo i miei due anni e mezzo.

Quando compirai tre anni, faremo una bellissima festa”

Ogni tredici di mese mamma aveva un pensierino particolare, ma quel giorno fu’ molto particolare, quasi una vera festa, anche se eravamo solo noi due.

Forse le madri parlano con gli Angeli, forse nel suo inconscio sentiva che per il mio terzo compleanno nessuno si sarebbe ricordato della sua piccola Luce.

Chissà, il suo cuore avrà avuto come una premonizione e prima d’andarsene volle festeggiare con me, il mezzo compleanno …!

Scartai con cura il regalo, e … oh meraviglia! La trottola più grande e più bella quella che si illuminava e suonava era emersa come una Dea fra le onde di carta.

Sgranai gli occhi, la delusione fu grande: non era la mia trottola di legno con il chiodo appuntito sotto e la cordicella che si attorcigliava attorno, e poi saltava e saltava, girava e girava, si nascondeva e ancora girava …!

Non volevo far capire niente a mamma che adoravo, ma lei se ne accorse subito. Mi prese in braccio “mia piccola Luce, la trottola di legno è troppo pericolosa per i bambini piccoli; il chiodo appuntito può fare tanto male se non si sta’ bene attenti. Questa è adatta alla tua età, ti prometto che quando sarai più grande ti comprerò la trottola di legno. Intanto vieni”, e mi portò nella mia stanzetta.

Vicino alla culla c’erano tre vestitini estivi stupendi: uno bianco e rosa, uno azzurro, e l’altro lillà, con il corpetto ricamato a punto smoking e le maniche corte a sbuffo; un incanto! Naturalmente ogni vestitino aveva abbinato un bel nastro per capelli e le calzine corte dello stesso colore.

Come per magia la mia delusione svanì come neve al sole, ero felicissima ! Li volevo indossare subito e cominciai a cinguettare felice, saltellavo girando attorno ai vestitini, li accarezzavo, li stringevo al petto. Già m’immaginavo come sarei stata bellina ed elegante con le braccine scoperte e i vestitini colorati che danzavano ad ogni mio passo !

Sì, erano proprio belli ed io ero una bambina fortunata.

Tornammo a tavola per festeggiare il mio metà-compleanno, vidi la grande e bella trottola tutta colorata abbattuta su un lato e mi sembrò infelice, mi sentii in colpa, la presi e ma la strinsi al petto.

Mi accorsi che era bella e se la premevo di sopra, anche lei girava e girava.

D’allora fu la mia fedele compagna di giochi e l’unico giocattolo che con me entrò in orfanotrofio alla morte di mamma, visto che lo tenevo sempre con me o dentro la culla.

Finimmo il nostro pranzo con il dolcetto finale e al mio solito spolverai anche il piatto di mamma che stanca aveva appoggiato le sue posate sul tavolo. Eravamo sole, mamma aveva preparato a sufficienza anche per papà o se si voleva fare il bis; ma lei non si servì di nuovo, non mi accorsi che aveva mangiato pochissimo.

Papà non c’era ; lo aspettammo a lungo, rientrò nel pomeriggio.

Mamma aveva lo sguardo di una ‘Mater Dolorosa’

Solo dopo la sua morte un giorno sentii il medico dire a proposito della morte di mia madre: “era prevedibile, troppo anemica, denutrita e fragile, pensava troppo agli altri e mai a se stessa. Sono certo che non mangiava a sufficienza”

Mi sentii morire pensando che io e solo io le toglievo il cucchiaio di mano per finire la sua minestra! Ero io la causa della sua morte. Se l’avessi lasciata mangiare mia madre sarebbe viva!

E piangevo.

Mi sentivo l’assassina di mamma.

Il giorno della mia prima confessione, avevo da poco compiuto quattro anni, alla domanda del parroco “che peccati ricordi?” risposi: “mamma è morta per colpa mia, mangiavo la sua minestra e lei restava digiuna”; era la prima volta che confidavo il mio segreto a qualcuno, ma non mi sentii affatto consolata nemmeno dopo che il buon Prete cercando di tranquillizzarmi, mi disse che io non c’entravo per nulla.

Ma io continuai a rodermi l’anima, perseverando a confessarmi sempre lo stesso peccato, non sentendomi perdonata. Ovviamente non era Dio a dovermi perdonare un peccato inesistente, ma dovevo essere io a risanare la mia memoria.

La vita cresceva prepotente dentro di lei, mamma era sempre più stanca e non andavamo tanto spesso alla magica fonte; continuava da abbracciarmi e a tenermi sulle braccia con amore, ma spesso era così affaticata che con me sulle braccia, il suo passo rallentava.


Un episodio che si fissò indelebilmente nella mia memoria, risale ad uno degli ultimi giorni prima della sua morte; mamma ed io uscimmo per andare da una sua amica a fare due chiacchierelle all’ora del tè; io stavo appollaiata sul suo seno con le braccia avvinghiate al collo, incontrammo una paesana che guardando con commiserazione mia madre, le disse:

Rosellina, nelle tue condizioni porti in braccio la bimba! Scendila, ha le sue gambette, è sana e forte, può camminare benissimo da sola”.

Lascia stare, non pesa” rispose dolcemente la mamma.


Io per la prima volta in vita mia provai un sentimento di rabbia, molto simile all’odio.

Se avessi potuto avrei incenerito con lo sguardo quella donna, eccome se l’avrei fatto!

E mi strinsi alla mamma ancora più forte.


Una dolce mattina di metà settembre, mamma pallidissima mi disse, “vai da Teresa (era la sua vicina e amica del cuore) e chiamala subito”, capii subito che qualcosa di grave stava succedendo e uscii urlando “Tessy … Tessy … Tessy …”


L’amica del cuore di mia madre mi prese in braccio e da lontano vidi Donna Liberata che con la sua carrozzina spinta dalla servetta si dirigeva verso casa mia.

Restai dalla vicina per mezza giornata circa, finché non mi riportarono a casa.


Non riconobbi subito il mio ambiente: mamma era in uno strano letto e dormiva, vestita col suo abito bello, quello della festa.

Rosellina era morta di parto, dando alla luce la sua seconda figlia: la mia piccola sorella.

Mio padre passeggiava nervoso fumando una sigaretta dopo l’altra, tutt’intorno urla e lamenti.


Mi accorsi che le buone vicine e zia Marella, oltre a tirarsi i capelli e a fare il lamento, litigavano fra di loro tirandosi dalle mani tutte le cose belle di mamma: aprivano e chiudevano i cassetti, si divisero a sorteggio oro e argenteria, e il meraviglioso corredo di lino, seta, bisso e cotone damascato se lo tiravano dalle mani cercando ognuna di accaparrarsi il pezzo più pregiato, fermandosi urlando non appena si accorgevano che qualcuno della famiglia si avvicinava a loro Proprio vero il detto “la dove c’è il cadavere ci sono gli avvoltoi”!

Svaligiarono tutta la casa con la complicità di zia, perché lei si prese tutte le cose più belle, compreso il meraviglioso collier e l’anello col solitario, lasciando alle prefiche il resto; così tutte colpevoli avevano ogni interesse a tacere e a coprirsi l’una con l’altra; e nella casa vuota restò solo mia madre nella prima stanza, quella del salotto-soggiorno, con i suoi fiori e le candele accese come si fa con i santi.

Qualcuno si incaricò di portare subito la piccola appena nata, battezzata in fretta e furia con il nome di Grazia Donata, in un brefotrofio di Siracusa, perché non si trovava una nutrice, altrimenti sarebbe morta anche lei.

Quel triste giorno di metà Settembre finì la mia infanzia: avevo due anni e nove mesi.